Nel dedalo di storie che percorrono la trama del tempo, le ombre dei miei ricordi danzano animati dalla luce della memoria, illuminando momenti del mio cammino nel mondo dei vivi, avvenuto centinaia di anni or sono. Quella stessa luce è alimentata anche da voi, che visitando il luogo in cui riposo tenete viva la testimonianza della mia storia.
Il mio nome è Anselmo Del Banco, una volta noto come Asher Levi Meshullam. Venni al mondo al tramonto del medioevo, nell’anno 1480, dotato di un'anima umile, ma destinata a un lungo viaggio che la avrebbe segnata in egual modo, sia dalla gloria che dalla sofferenza. Vi esorto, quindi, ad ascoltare queste parole e a trovarvi conforto, mentre disegnano i luoghi della mia esistenza.
Sono nato in un mondo di contrasti, un’epoca in cui la luce della speranza lottava contro le nuvole oscure del pregiudizio e della persecuzione. Il mio nome, Anselmo Del Banco, risuonava tra gli stretti vicoli di Padova, città dove le antiche pietre sussurravano storie di generazioni passate e che fu testimone di molte vicissitudini da parte della comunità ebraica nel quindicesimo e sedicesimo secolo.
La comunità ebraica, stretta in una trama compatta di prosperità e resistenza a un clima ostile e violento, viveva sotto lo sguardo velato della storia.
Tra i vicoli e le sinagoghe, le nostre vite si intrecciano con le ricche tradizioni dei nostri antenati. Era un periodo in cui l'aria era densa di incertezza, una danza spettrale di ombre sulla nostra fede.
Col passare degli anni divenni un custode delle ricchezze, un amministratore delle correnti finanziarie nei territori veneti. Il mio cuore era un libro mastro e il mio spirito un nomade nel vasto mare del commercio e degli scambi di merci, denaro e sapere.
Tuttavia, il nuovo secolo giunse portando con sé una coltre di nubi scure, trascinate da venti di guerra.
Nel 1509, le truppe della Lega di Cambrai devastarono la nostra amata città. Per sopravvivere al caos e agli orrori del conflitto, cercai rifugio a Venezia, una città dove la nostra comunità era stata a lungo giudicata, perseguitata ed esclusa. È stato tra le strade labirintiche e il dedalo di specchi d’acqua di Venezia che la mia vita ha preso una svolta inaspettata.
Nei canali di Venezia ho assunto il ruolo di portavoce del mio popolo. Come una fenice che risorge dalle ceneri di Padova, ho lottato contro il silenzio e l’indifferenza, riuscendo ad impormi nei luoghi di potere, attraversandone i corridoi e facendo sì che la mia voce fosse udita mentre invocavo il diritto di residenza e un'equa tassazione per i miei fratelli ebrei.
Ma in quegli stessi luoghi e tra quelle sale di marmo del Senato veneziano, la cattiveria degli uomini serpeggiò tra le meraviglie architettoniche, permettendo al seme dell’odio di germogliare nelle anime di molti. Nell’anno 1516 il Senato veneziano decise di istituire un ghetto, un luogo in cui confinarci all'interno delle mura della città.
Di fronte a quell’orrore, però, non fuggii. Rimasi davanti a loro, con la voce tremante ma imperterrita. Mi ersi sia come sentinella che come avvocato, e la mia voce echeggiava attraverso gli angusti confini della nostra casa designata. Con parole appassionate, chiesi equità e comprensione per la comunità ebraica, che aveva sia il diritto che la possibilità di coesistere armoniosamente all’interno del tessuto della società veneziana. Nonostante il ghetto fosse ormai una realtà inevitabile, lottai con le unghie e con i denti per attenuarne l’impatto e per garantire la nostra dignità e sopravvivenza.
Ma i miei sforzi si sono estesi oltre la laguna veneta; attraversavano oceani e continenti. Ho stretto legami con la comunità ebraica di Gerusalemme, un luogo sacro che molti di noi non avevano mai visto, ma che era comunque impresso in ogni fibra del nostro spirito collettivo.
Da Venezia ho inviato denaro e aiuti a chi cercava conforto in Terra Santa. Lì, il cuore del mondo ebraico faceva cenno e io, come un pellegrino di un tempo, inviavo denaro e consigli a coloro che si imbarcavano nel pericoloso viaggio da Venezia. Attraverso la mia corrispondenza con l'illustre cabalista Abraham ha-Levi, ho approfondito argomenti messianici, esplorando il desiderio di redenzione che risuonava nei nostri cuori.
Nel regno del misticismo, ho trovato uno spirito affine nello stimato Abraham ha-Levi di Gerusalemme. Lettere, nelle quali l’inchiostro disegnava le nostre riflessioni, attraversarono i mari, le terre e le frontiere mettendo in comunione le nostre anime. I misteri della Kabbalàh si svelarono e, in una delicata danza di parole, esplorammo visioni messianiche che trascendevano i confini delle nostre spoglie mortali. Tra avversità, scoperta e difesa del mio popolo, la mia discendenza germogliò, permettendo al mio nome di sopravvivere al tempo.
Mio figlio, Shimon, ha abbracciato gli oneri della generosità, coprendo le spese dell'enigmatico David Reuveni durante il suo soggiorno a Venezia. Attraverso tali atti, i viticci delle nostre vite si intrecciano con il più ampio arazzo della storia ebraica.
Diamant, mia figlia, gioiello della nostra casa, ha intrecciato il suo destino con Jehiel da Pisa nel matrimonio, stringendo alleanze che hanno donato armonia e prosperità nel tempo.
Mentre la mia progenie germogliava, la mia vita giungeva inesorabilmente verso il crepuscolo e un giorno del 1536 abbandonai le mie spoglie mortali. Ora, mentre il mio racconto giunge al termine, torno a riposare tra le foglie e la terra di questo luogo sacro. Che le mie parole, come la poesia più raffinata, possano illuminare gli angoli bui della memoria, eternando il ricordo e l’anima del nostro popolo.